Cosa spinge minorenni a passare alla violenza per fa divertire amici e conoscenti? Abbiamo provato a tracciare una riflessione assieme alla dottoressa Milena Martini
Da Simone Spada - 28 Ottobre 2022
Nei giorni scorsi è scoppiato il caso delle ragazzine di Sestu che, riprese dai video dei coetanei, si incontravano in un parco per prendersi a calci e pugni dietro compenso.
C’è chi parla di moda, e chi di noia. Ma cosa spinge minorenni a passare alla violenza per divertire amici e conoscenti?
Abbiamo provato a tracciare una riflessione assieme alla dottoressa Milena Martini.
Cosa spinge una ragazza ad accettare una tale proposta: solo la questione economica o c’è anche altro?
Penso che la questione economica sia assolutamente secondaria se non irrilevante. Lacan parla dell’ “evaporazione del padre” per indicare come il movimento del ’68 abbia portato alla crisi dell’autorità simbolica del padre nella vita della famiglia e in quella sociale. A livello sociale abbiamo come conseguenza la difficoltà a riconoscere il ruolo delle istituzioni, la scomparsa del dialogo educativo, la difficoltà a stabilire e a dare origine a legami sociali creativi. A livello individuale la conseguenza è un vuoto interiore, che viene riempito dall’oggetto di consumo, dall’abuso di sostanze e di alcol, dall’uso smodato dei mezzi tecnologici, dai “like” virtuali o reali dei coetanei. Tutto ciò però amplia il senso di vuoto e di solitudine.
I genitori non sono presenti, si nascondono o sono diventati amici dei loro figli, si vestono come loro, frequentano gli stessi locali, con una forte confusione di ruoli. Il genitore affettivo deve affiancare quello normativo, che stabilisce e rappresenta il contenimento, il limite. La mancanza del contenimento porta la scomparsa del desiderio e l’imperativo del godimento fine a se stesso, che rifiuta ogni limite. Il desiderio comporta il sacrificio, la rinuncia, il godimento porta alla distruzione dell’oggetto del desiderio ma anche del soggetto che lo consuma. Manca il dialogo educativo tra genitori e figli, un dialogo che non sia mero scambio di informazioni, ma scambio di emozioni, ascolto reciproco, riflessione sui propri vissuti.
È dunque la noia il motore di queste azioni?
La noia è un’emozione di cui bambini e adolescenti hanno bisogno. Rappresenta uno spazio in cui riflettere, pensare a se stessi, cercare di capire che cosa vogliamo, è anche uno stimolo per essere creativi, perché se ci annoiamo dobbiamo trovare il modo per superarla, per capire quali sono i nostri bisogni. Ma oggi i bambini e gli adolescenti non sono educati alla noia, i genitori riempiono lo spazio della noia dei loro figli. Le giornate dei bambini sono ricche e piene di attività affinché non si annoino, la noia spaventa. Ma in questa condizione di vuoto affettivo, la vita perde il suo significato, il momento presente diventa centrale, il qui ed ora è fondamentale in quanto permette di “imbavagliare” l’angoscia e la noia sono i vissuti dominanti. L’indifferenza emozionale caratterizza la vita emotiva dell’adolescente annoiato. La conseguenza è la negazione dell’attribuzione di valore e significato alle persone ed alle situazioni. La necessità di uscire dalla noia, determinata dal vuoto affettivo, porta alla ricerca dell’eccitamento momentaneo, che si può tradurre in aggressività.
Spesso per i genitori l’obiettivo fondamentale è eliminare ogni forma di frustrazione per i propri figli, liberarli da ogni forma di senso di colpa, non in senso moralistico. La colpa va intesa come capacità di rinunciare alle proprie pulsioni, la capacità di assumersi la responsabilità delle proprie azioni. Emerge quindi un adolescente apatico, incapace di gestire ogni forma di frustrazione, insensibile alla sofferenza dell’altro, incapace di ascoltare le proprie emozioni e quindi a riconoscerle nell’Altro. Una vita caratterizzata dalla mancanza di desiderio, una vita disumanizzata. Il godimento, quindi il desiderio senza sacrificio, senza limite, senza contenimento rende gli adolescenti incapaci di coltivare passioni e interessi. Un’educazione che non consente la rinuncia, il sacrificio per il bene altrui, che non favorisce la cooperazione, ma incentiva la competizione, non permette di sviluppare la capacità di essere attenti nei confronti dell’altro e di sviluppare il senso di collaborazione.
Cosa si può fare per dirimere questa “moda” giovanile?
È importante lavorare sull’educazione emotiva in famiglia e a scuola. Bisogna stare con i bambini, giocare con loro, parlare con i bambini e con gli adolescenti, aiutarli a gestire le emozioni. L’ascolto attivo, che è il vero e proprio ascolto, richiede la capacità di focalizzarsi sull’altro, sull’osservare l’altro di coglierne i vissuti e le emozioni. Solo questo ci consente di entrare in una relazione. Le emozioni sono spinte ad agire, fanno parte del nostro patrimonio genetico e ci consentono di adattarci all’ambiente circostante. Tendiamo ad allontanare e a definire come cattive le emozioni che ci fanno stare male, come tristezza e rabbia, e per educazione si tende a censurarle. È invece fondamentale imparare ad ascoltare tutte le emozioni per poterle gestire e per poterle riconoscere negli altri. Questo compito può essere svolto solo dagli adulti di riferimento, genitori e insegnanti.
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